Progettare la formazione e agire l’organizzazione
Laura Lionetti – gruppo Ottima Senior
Quando iniziai ad occuparmi di persone anziane, mi resi conto che molti residenti delle strutture erano affetti da demenza, patologia di cui si sapeva poco. E proprio cercando risposte ed esperienze che mi potessero aiutare, per la prima volta nel 1995, in visita all’Istituto Golgi di Abbiate Grasso (Mi), venni a conoscenza del modello Gentlecare.
Un’esperienza che rimane nei miei ricordi, forte e determinante. Il nucleo Alzheimer allora era accolto in un’ala della parte antica dell’edificio: grandi camerate, lunghi corridoi, spazi ricavati da quello che un tempo era un convento. Ma c’era una forza speciale tra le persone che ci accolsero: passione, amore, energia che avevano reso possibile, con i mezzi a disposizione, la realizzazione di qualcosa di speciale. C’era l’angolo morbido per le attività con le persone chiuse nella loro postura fetale, la cucina utilizzata anche dai familiari, il rifacimento dei letti che gli operatori compivano con gli anziani, la percezione di una reale interazione tra le figure professionali. Di quel viaggio mi rimase un pensiero: che qualcosa si poteva fare, in ogni luogo, con le risorse esistenti, a patto di crederci. Studiai così il modello: la formazione con il gruppo dell’Istituto; il manuale in inglese; i convegni con Moyra Jones, per applicarlo poi nei servizi per anziani.
Perché scegliere un modello di riferimento? Il modello è un insieme di idee che serve a pianificare l’azione, è una mappa che ci orienta nell’azione e ci permette di sapere perché facciamo le cose che facciamo.
Perché Gentlecare? Gentlecare è applicabile nei diversi contesti, realizzabile con modalità diversificate a seconda delle risorse, si basa su fondamenti semplici e ci sollecita a rispondere costantemente a queste semplici ma essenziali domande: stanno bene gli anziani che ci sono affidati? Qual è la qualità della vita della loro esistenza quotidiana? Come se la cavano le loro famiglie?
Progettazione, formazione, consulenza sono state le attività svolte in questi anni. I risultati riscontrati nei servizi in cui il modello viene applicato evidenziano nelle persone con demenza il rallentamento del decadimento cognitivo, la gestione dei disturbi del comportamento in una logica di prevenzione, attraverso la definizione e controllo dei fattori scatenanti, il recupero e mantenimento dell’abilità sociali; per i familiari e il personale, la riduzione dello stress e l’aumento della percezione di poter influire sui risultati. Spazio, Persone, Programmi sono i tre elementi del pensiero globale che sottendono anche all’organizzazione dei servizi.
La cura della persona con demenza si pone come cura a lungo termine, che progressivamente impone la ricerca di soluzioni sempre più articolate, di fronte all’emergere di bisogni via via più complessi nel corso della malattia. Il tradizionale modello biomedico, che ha come obiettivo la guarigione della malattia, non riesce a far fronte ad una complessità data dalla presenza di problemi molteplici, interattivi e talora simultanei. Obiettivo principale della cura diviene allora non più la guarigione della malattia, bensì la promozione del benessere della persona e il contenimento dello stress di chi del malato si occupa.
Un sistema di cura protesico diventa elemento fondamentale nel raggiungimento di tale obiettivo, poiché il sistema nella sua struttura è finalizzato a supportare, piuttosto che cimentare, la persona con demenza, a comprendere la peculiarità e la complessità della disabilità determinata dalla malattia e al tempo stesso a cogliere e valorizzare le competenze residue, così come le preferenze e i desideri del malato.
La centralità del malato e la ricerca e salvaguardia della sua continuità esistenziale ne costituiscono gli elementi fondanti.
Gentlecare è un sistema di cura, ideato e sviluppato in Canada da Moyra Jones, che nasce da un approccio di tipo riabilitativo e di sostegno (protesi) centrato sulla persona affetta da demenza.
Gentlecare introduce i tre elementi costitutivi della protesi: lo spazio in cui il malato vive, le persone con cui il malato interagisce e i programmi, attività in cui è coinvolto. I tre elementi sono in rapporto dinamico l’uno con l’altro e la presenza di tutti tre garantisce il funzionamento della protesi stessa.
E’ fondamentale che tutti coloro che praticano la relazione di aiuto condividano un profondo rispetto per la persona e una sincera curiosità per i possibili mondi delle altre persone.
Pertanto i principali elementi dell’approccio centrato sulla persona con demenza sono:
- Entrare nella struttura di riferimento di un altro
Un linguaggio e un comportamento apparentemente bizzarri o confusi, ci sfidano ad acquisire una comprensione del significato che sta dietro a tale linguaggio, a ricercare il significato che la persona sta dando alla realtà.
Spesso le persone con demenza fanno riferimento ad avvenimento del passato e in alcuni casi rivivono le situazioni come se fossero reali, ad esempio una Sig.ra si preoccupa perché deve andare a casa dalla mamma, ed è quindi importante conoscere la loro biografia, in modo da poter entrare nel loro mondo.
A causa della malattia la persona con demenza modifica la percezione della realtà e la sua interpretazione, pertanto è importante conoscere quali deficit sono causati dalla malattia e progettare interventi che supportino la persona. Alcuni studi hanno evidenziato ad es. che le persone con demenza hanno un campo visivo più ridotto, una percezione della luminosità dell’ambiente più ridotta, una difficoltà nel distinguere colori non contrastanti. E’ importante dunque conoscere tali modificazione della percezione per creare ambienti adatti alla vita di queste persone, ad es. facendo attenzione che ciò che devono vedere sia nel loro campo visivo, aumentando la luminosità nei locali, utilizzando colori primari contrastanti per attivare la loro attenzione.
- Accettazione non giudicante degli aspetti unici di ogni singolo individuo
Per mantenere una ragionevole considerazione di sé, la persona deve innanzitutto essere accettata rispetto al fatto che non è responsabile dei propri deficit, e ha bisogno che chi le sta intorno continui a considerarla molto di più di una serie di sintomi di una malattia.
Per tale motivo è importante ad esempio che i caregiver comprendano la malattia e se necessario siano supportati nell’accettarla. Spesso è particolarmente difficile per il coniuge accettare che la persona con cui sono stati per tutta la vita non sia più la stessa.
Allo stesso modo è necessario che i professionisti che si occupano di demenza siano formate sulla malattia e dispongano di incontri in cui esprimere le proprie difficoltà.
- Considerare la persona nella sua globalità
Un’assistenza centrata sulla persona dà valore alla sua peculiare esperienza di vita.
E’ importante guardare ai deficit della persona per creargli attorno una situazione adatta, che non lo metta in situazioni di pericolo e di sconfitta e al tempo stesso guardi alla parte sana per stimolare le abilità ancora presenti.
- Una visione positiva della natura umana
Se la demenza pone dei limiti a quello che una persona può fare, non impedisce di continuare a cercare nuove conoscenze, a raggiungere nuovi obiettivi e ad andare avanti, anche se ciò accade all’interno di una frammentazione di esperienza e con una finalità che non è sempre evidente agli altri.
E’ importante consentire alle persone di fare qualcosa per cui si possano sentirsi utili e dare un senso al loro tempo. Nella realizzazione di attività con le persone affette da demenza ad esempio cucinare può rappresentare un’esperienza gratificante, a patto che il caregiver metta la persona nelle condizioni di fare ciò che è in grado; l’atto di mescolare ad esempio è una competenza che rimane preservata per lungo tempo nella malattia.
- L’importanza dei sentimenti e delle emozioni
L’assistenza alla demenza pone grande attenzione per il benessere emotivo, riconoscendo, valorizzando e rispondendo a quelle espressioni (lutto, paura, alienazione, rabbia, ecc.) che sono compagne naturali della malattia.
Potremmo dire che le persone con demenza “ragionano con il cuore” e che a tale linguaggio bisogna dare grande spazio.
Ad esempio i disturbi del comportamento sono spesso causati dalla paura e dalla rabbia, è di fondamentale importanza comprendere che cosa ha scatenato tale emozione, capire se è legato ad un ricordo, al rivivere una situazione, all’incomprensione di qualcosa. Coloro che stanno accanto alla persona con demenza devono imparare a chiedersi il perché e ad osservare il comportamento.
- L’importanza delle relazioni interpersonali
Da questa preoccupazione per il benessere emotivo nasce la consapevolezza che è solo attraverso un genuino contatto psicologico con altre persone che tale benessere può essere promosso. Quando le persone perdono la capacità di mantenere un contatto attraverso il linguaggio, si verifica un proporzionale aumento del bisogno di mantenere il contatto e la comunicazione con mezzi non verbali.
Le persone con demenza ad esempio tendono spesso a utilizzare in modo più ampio le abilità residue nei contesti non domiciliari, in presenza di persone non familiari.
- Il valore dell’autenticità nelle relazioni
Ci sono elementi per sostenere che una persona, la cui esperienza è acuita dal fatto di essere “libera” dalla memoria e dalla comprensione cognitiva, può essere in una posizione migliore per riconoscere ogni incongruenza che gli altri portano nella relazione.
Coloro che stanno accanto alla persona con demenza ad esempio devono saper utilizzare in modo consapevole il linguaggio non verbale, facendo attenzione che ci sia coerenza tra il proprio mondo interiore e quello che intendono comunicare.
- Un approccio non direttivo
Un’assistenza alla demenza centrata sulla persona deve valorizzare l’autonomia dell’individuo e aumentare la sua sensazione di poter mantenere il più a lungo possibile il controllo delle proprie azioni. Offrire ambienti che facilitino un approccio non direttivo è forse la sfida più grande nell’organizzazione di servizi per persone affette da demenza.
In tal senso riveste grande importanza lo spazio, che adeguatamente progettato permette alla persona di sentirsi libero di muoversi e nello stesso tempo garantisce la sicurezza.
La stessa organizzazione della giornata deve essere orientata ad un approccio non direttivo, permettendo alla persona con demenza ad esempio di dormire al mattino secondo le sue abitudini di una vita, o di fare il bagno o la doccia in quella fascia oraria e giornata in cui l’ha sempre fatto.
Le persone – Familiari Volontari e Caregiver professionali – per il sistema Gentlecare diventano dunque agenti terapeutici fondamentali, che lavorano in complessi rapporti di interdipendenza.
Gentlecare considera la famiglia come essenziale nella cura della malattia e opera per sostenerla e renderla partecipe al percorso assistenziale.
E’ dunque importante che i servizi prevedano per i familiari:
- un percorso di accesso e di elaborazione del piano individuale che li coinvolga;
- modalità di aggiornamento costante sulla situazione dell’utentepite;
- iniziative di informazione sulla malattia e il sul decorso;
- iniziative per favorire la conoscenza di modalità di comunicazione e utilizzo di strategie facilitanti la relazione con la persona con demenza;
- iniziative di sostegno.
Gentlecare prevede un modello di intervento circolare, che sottolinea l’interdipendenza tra la persona con demenza e la sua famiglia, e tra i sistemi di assistenza sanitaria e le comunità coinvolte. I volontari costituiscono legami tangibili con il modo esterno e Gentlecare li considera partner terapeutici nella creazione di sistemi protesici che mettono a loro agio le persone. Il coinvolgimento dei volontari nell’assistenza richiede una pianificazione e una cura attenta, che si articola in quattro aree: reclutamento, formazione, formazione continua, sostegno e riconoscimento.
Quindi l’organizzazione per i volontari deve prevedere
- procedure di reclutamento e inserimento;
- una figura di coordinamento;
- partecipazione dei volontari ai corsi di formazione organizzati per il personale;
- incontri di verifica e sostegno per i volontari.
Infine il personale rappresenta nei servizi l’elemento principale della protesi e per tale ragione va posta grande attenzione alla selezione, l’inserimento e la formazione.
Pertanto per il personale assegnato ai servizi devono essere previste:
- procedure di selezione che valutino le competenze di partenza e le caratteristiche individuali;
- percorsi di inserimento/formazione prima dell’inserimento nel servizio;
- percorsi di formazione e aggiornamento che coinvolgano tutte le figure professionali operanti nel servizio;
- definizione del progetto di cura per ciascuna persona affetta da demenza, elaborati con una modalità interdisciplinare;
- un sistema di consegne / documentazione che permetta una conoscenza condivisa tra tutte le professionalità della situazione delle persone con demenza.
La conoscenza della malattia, la comprensione dell’impatto che da essa deriva nel singolo, così come la condivisione degli obiettivi e dei progetti di cura da parte di tutti coloro che gravitano intorno al malato, consente di costruire una alleanza terapeutica in cui ogni elemento apporti sapere specifico e assuma responsabilità individuali e condivise.
L’operatore Gentlecare, utilizzando un approccio centrato sul cliente e attuando interventi sistemici, è in grado di:
- di osservare e descrivere il comportamento di ciascuna persona affetta da demenza, individuando le variabili che possono contribuire al benessere in relazione ai 3 elementi della protesi gentlecare (spazio, persone, programmi);
- di lavorare in équipe, contribuendo al raggiungimento degli obiettivi comuni, utilizzando una mediazione positiva e sinergica, creando rapporti centrati sul valore all’interno e all’esterno dell’organizzazione;
- di elaborare progetti individuali e di relazionarsi entrando nel modo di riferimento della persona affetta da demenza.
- di analizzare il rapporto tra persone ed ambiente.
Nella fase di avvio di un servizio, e poi periodicamente, va proposto un percorso formativo, mirante al raggiungimento dei seguenti risultati:
- conoscenza della malattia di Alzheimer e della demenza;
- approfondimento delle capacità di comprendere le cause dei diversi disturbi e modalità di comportamento delle persone affette da demenza;
- miglioramento delle capacità di relazione con gli anziani;
- approfondimento della capacità di programmazione e gestione delle attività della vita quotidiana nel nucleo;
- miglioramento delle capacità di programmare e realizzare progetti individualizzati;
- miglioramento delle capacità di relazione con le famiglie:
- metodologia per l’osservazione e registrazione dei comportamenti finalizzata all’elaborazione di strategie di intervento con l’ospite.
Inoltre periodicamente va proposto al personale un percorso di supervisione sui casi, come spazio di confronto, condotto da uno psicologo, con attenzione particolare alle emozioni e alle difficoltà che la relazione di aiuto genera.
Le emozioni sono uno dei principali “strumenti di lavoro” con le persone affette da demenza, che comporta un assorbimento e richiede un sostegno, come un Referente di nucleo ha efficacemente spiegato “se devi esserci nella relazione con l’anziano ed entrare nel suo mondo, poi devi ritrovarti”.
Ogni sessione viene aperta dalla presentazione di un caso da parte di un partecipante, che focalizza l’attenzione su un problema che rende difficoltosa la relazione con un ospite specifico, comunicando le informazioni raccolte sulla persona e promuovendo la discussione e il processo di chiarificazione all’interno del gruppo.
Obiettivo è sviluppare la capacità di osservazione e di riflessione, migliorare il senso di ascolto e di integrazione nel gruppo, migliorare la relazione con i colleghi e con i familiari, distaccare gli operatori dall’ansia “del fare” verso una maggiore propensione alla riflessione, prevenire il burn out.
Molti sono gli aspetti rilevanti che genera questo tipo di intervento, fra cui:
l’operatore, nel prenotare e presentare “il caso” lascia il gruppo dei colleghi e si propone come singolo;
nel presentare una situazione l’operatore passa dall’azione al pensiero;
il gruppo sperimenta l’ascolto e il supporto al singolo;
il gruppo e i singoli sperimentano la sospensione del fare per orientarsi all’ascolto e all’elaborazione.
La costituzione e la partecipazione degli operatori ai gruppi di discussione si prefigge di continuare l’opera di appropriazione di una conoscenza relazionale che nasce e si sviluppa nel coinvolgimento corporeo ed emozionale, conoscenza che viene riflessa e drammatizzata dal gruppo e nel gruppo, per poi essere restituita in forma di parole. La dimensione del lavoro di gruppo centrato sulla presentazione del problema comporta una particolare riflessione sui movimenti affettivi e cognitivi che produce.
Nell’incontro con la persona affetta da demenza si diventa custodi della memoria di una vita e accompagnatori in un viaggio di perdita verso l’essenzialità.
Ritengo che al di là di tutte le conoscenze tecniche sulle forme di demenza, la diagnosi, le fasi, le aree cerebrali, il nocciolo della riflessione in quanto operatori si concentri sul valore della storia di ogni singola persona, all’anziano ma anche di sé stessi, e sulla comunicazione e in specifico la comunicazione non verbale.
Dunque formazione per migliorare:
- la consapevolezza che il corpo è strumento di comunicazione attraverso la distanza interpersonale, la postura, i gesti;
- la capacità di lettura della comunicazione non verbale, perché dietro all’emozione della persona affetta da demenza spesso c’è un bisogno che deve essere letto;
- la capacità di utilizzare la comunicazione non verbale.
Diffusione dei gruppi di discussione per:
- raccogliere e condividere tutte le informazioni sulla persona affetta da demenza;
- avere uno spazio di confronto per acquisire consapevolezza sui sentimenti che influenzano il proprio lavoro: riconoscerli, osservarli, tracciare nessi.
”E’ il rifiuto della ripetitività, della noia, del già saputo che apre costantemente nuove prospettive, nuove possibilità creative; è l’attenzione posta con una meraviglia che si rinnova sempre, sulle persone, sulle nostre aspettative, sulle nostre reazioni, quelle di tutti i giorni, l’attenzione meraviglita e stupita verso ciò che accade quotidianamente, nelle singole relazioni che ci da il senso della vita, sia che il nostro compagno sia un bimbo piccolo o un uomo pieno di anni, nulla può essere dato per scontato, per precostituito.”
Giorgio Maria Ferlini
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