Laura Lionetti
Come spesso mi accade nelle scelte lavorative, la vita si mescola alla professione.
Parto da me e dalla profonda pace che sento nello stare nel verde e riempire gli occhi di verde. Verde blu silenzio sono gli elementi che cerco, soprattutto nei momenti di fatica, di dolore, di ricerca.
Ho sempre abitato in città e ho trascorso grandi giornate di bambina nel giardino di casa, trovando l’erba migliore per fare succhi verdi e studiando il comportamento delle lumache, quale ignara Lorenz bambina.
Penso che sopra ogni cosa la pace del verde nasca perché siamo animali, trasferiti in luoghi di cemento da ben poco tempo rispetto alla nostra lunga storia; perché siamo umani, quindi viventi e facenti parte di un grande insieme complesso ed eterno.
Più ci distanziamo dalla natura, muovendoci in scatole da una scatola all’altra, più paradossalmente aumentano progetti di ogni tipo per recuperare il rapporto con la natura, quasi integratori, artificiali, per darci quello di cui abbiamo naturalmente bisogno.
Da Michelle Obama che ha istituito l’orto alla Casa Bianca, agli orti sociali e urbani, ai manuali per realizzare un orto sul balcone, ai giardini in verticale, alla gardening therapy, negli ultimi anni crescono le iniziative a ogni livello ma con finalità che, sia pure in modo diverso, puntano contemporaneamente alla salute, alla promozione di stili di vita più sani e alla tutela o al ripristino dell’ambiente.
Strano paradosso quello di creare dispositivi artificiali per creare qualcosa che abbia a che fare con la natura, come un criceto che gira continuamente nella sua ruota e al quale non viene mai in mente che la cosa più semplice sarebbe smettere di correre, fermare la ruota e scendere per andare a correre nei prati.
Ma abbiamo anche bisogno di ricerche per confermare qualcosa che sappiamo già, come lo studio revisionale dei ricercatori dell’Università di Exeter (Regno Unito) e pubblicato sulla rivista “Journal of the American Medical Directors Association”, in cui si confermano le virtù terapeutiche derivanti da un rapporto più stretto tra l’essere umano e gli alberi, i fiori, l’erba, per cui nei pazienti che soffrono di declino cognitivo o demenza il giardinaggio costituisce un’attività capace di favorire il relax, riducendo l’ansia, diminuendo lo stress, favorendo la socializzazione e aumentando l’autostima.
Con uno sguardo più ampio, possiamo osservare che negli ultimi decenni c’è stato un fiorire di studi ed esperienze sul rapporto natura e malattia, che in particolare hanno evidenziato che guardare o sostare nella natura provoca cambiamenti fisiologici e psicologici; corpo e mente tornano allo stato di equilibrio e contribuiscono allo stato di integrità e di salute. Ad esempio, il guardare la natura, l’entrarci in contatto in un contesto ospedaliero aiuta a velocizzare i tempi di recupero.
I giardini contribuiscono ad attenuare lo stress nella misura in cui promuovono un senso di controllo e di accesso alla privacy; forniscono impostazioni spaziali in cui gli utenti sono in grado di riunirsi e di godere del sostegno sociale; creano occasioni di movimento fisico e forniscono l’accesso alla natura e ad altre distrazioni positive.
Il dottor Roger Ulrich, fondatore del primo centro interdisciplinare tra medicina e architettura all’Università del Texas, professore di Architettura terapeutica in Svezia e Danimarca, partendo dalla sua esperienza personale di bambino in ospedale, per dieci anni ha portato piante nelle camere, allestito pareti con immagini naturalistiche, spostato letti per garantire una vista sull’esterno, raccogliendo una tale quantità di dati da poter affermare con sicurezza che i pazienti che avevano accesso alla natura tornavano in salute più velocemente rispetto agli altri: “Se vedevo un albero, mi sentivo meglio. Quando si è immersi in un ambiente freddo, funzionale e spaventoso come un ospedale, la mente cerca una via di uscita verso la normalità. Solo più tardi mi sono chiesto se esisteva un rapporto preciso tra quella sensazione che avvertivo da bambino e un effettivo miglioramento fisico nelle condizioni dei pazienti”.
Tutto questo vale ancor di più nella cura delle persone con demenza, per le quali il tradizionale modello biomedico, che ha come obiettivo la guarigione della malattia, non riesce a far fronte a una complessità data dalla presenza di problemi molteplici, interattivi e talora simultanei. Obiettivo principale della cura diviene allora non più la guarigione della malattia, bensì la promozione del benessere della persona e il contenimento dello stress di chi del malato si occupa.
Un sistema di cura protesico diventa elemento fondamentale nel raggiungimento di tale obiettivo, poiché il sistema nella sua struttura è finalizzato a supportare, piuttosto che cimentare, la persona con demenza, a comprendere la peculiarità e la complessità della disabilità determinata dalla malattia e al tempo stesso a cogliere e a valorizzare le competenze residue, così come le preferenze e i desideri del malato. La centralità del malato e la ricerca e salvaguardia della sua continuità esistenziale ne costituiscono gli elementi fondanti.
Il sistema di cura Gentlecare® ideato dalla terapista occupazionale canadese Moyra Jones, individua come obiettivo fondamentale il benessere della persona e di chi gli sta vicino e come strumento operativo la protesi di cura, costituita da spazio fisico, persone e attività.
Nell’adeguamento o realizzazione di spazi dedicati alla demenza, e quindi anche delle aree verdi, è necessario quindi partire da come le persone percepiscono la realtà, in che specifico modo le informazioni sono raccolte dal loro sistema sensoriale e sono poi rielaborate.
Innanzitutto va tenuta in considerazione l’alterazione dei processi visivi inerenti alle modifiche fisiologiche degli organi di senso e alle modifiche della percezione visiva connesse patologie comuni quali cataratta, maculopatia degenerativa, retinopatia, diffuse tra gli anziani. La vista in età avanzata registra ad esempio una riduzione progressiva del campo visivo e della quantità di luce che arriva alla retina (circa 1/3 in meno rispetto al giovane a parità di illuminazione) a causa del ridotto diametro della pupilla, dell’ingiallimento e dell’opacamento del cristallino che comporta per l’anziano la necessità di vivere in ambiente maggiormente illuminati. Si registra una riduzione dell’acuità visiva, cioè della capacità di distinguere i dettagli e una diminuzione della capacità di discriminare i colori (dapprima le tonalità del giallo, poi del blu, infine del verde) e di percepire i contrasti.
Inoltre per le persone affette da demenza, va tenuta in considerazione l’ulteriore presenza di disturbi dispercettivi. Tra i disturbi non cognitivi, che sono quelli che durano più a lungo nel decorso clinico, fanno parte anche i disturbi “dispercettivi”, cioè una visione ingannevole delle cose che circondano il malato che così gli appaiono diverse da come sono. Le cose viste in modo non interpretativo, vengono “reinterpretate” con una possibile confusione fra rappresentazione e realtà (ad esempio: il malato discute con la televisione, cerca di raccogliere i fiori di un quadro appeso al muro).
Si è parlato in qualche modo di “retrogenesi” nel senso che il malato di Alzheimer ha una rappresentazione del mondo e di se stesso secondo quelli che sono gli sviluppi dell’apprendimento operativo secondo Piaget. Quasi un tornare indietro ai primi anni di vita nella capacità della rappresentazione astratta di quello che vediamo, fino alla de-strutturazione dello spazio.
Nel malato di demenza quindi ai deficit visivi vanno associati i deficit di capacità critica, per cui sono compromesse alcune delle proprietà della visione, sia cognitivo interpretative.
Le aree critiche da tenere in considerazione nella progettazione dei luoghi sono:
- riduzione della sensibilità ai contrasti, la capacità di distinguere un oggetto da quello che lo circonda, più che la visione in sé (come può accadere nelle varianti “visive” o quando è interessata l’area striata principale);
- alterazione della percezione del movimento, delle distanze, della profondità;
- utilità della scelta del colore e del contrasto rispetto allo sfondo (ad esempio: un oggetto posto su superficie con colore né simile né complementare, il colore viene percepito come avere tinta diversa, con lo stesso saturazione e brillantezza);
- percezione di una parte dei malati del bianco come assenza;
- riduzione attorno al 20% dell’assorbimento della luce accompagnata da una facilità all’abbagliamento;
- spesso anche un problema di accomodamento alla luce: il passaggio, per esempio, dalla luce interna all’esterno, ad esempio verso un giardino, in un giorno di sole, comporta il 100% di illuminazione maggiore.
Pertanto nella realizzazione di aree verdi la dislocazione degli spazi, la corretta articolazione dei percorsi, la percezione delle prospettive, i colori e i materiali utilizzati per le superfici, le luci, gli arredi e i sistemi di sicurezza, sono tutti elementi da vagliare e scegliere attentamente, tenendo presente le esigenze degli anziani fragili, connesse alla loro diversa modalità di percepire lo spazio e il loro bisogno di autonomia e sicurezza.
Partendo dalla conoscenza delle modifiche nella percezione che l’età anziana e le patologie geriatriche maggiormente diffuse comportano e dall’esperienza progettuale e gestionale maturata, è possibile realizzare un ambiente specificatamente adatto alle persone con diversi gradi di demenza che ci vivono e rispondente ai nuovi indirizzi dei servizi residenziali per anziani.
Le conoscenze biomediche vanno poi necessariamente rinforzate con la conoscenza quotidiana della pratica di cura, che ci insegna che, a integrazione delle teorie scientifiche e delle informazioni derivanti dalle ricerche, ogni persona è significativamente diversa dalle altre, per cui ci sarà sempre una Signora Maria che un giorno troverà un modo per crearsi un varco nella siepe verso la sua casa che esiste nel suo immaginario.
Nella mia esperienza con le persone con demenza ho imparato che, come per tutti noi e ancor di più, la libertà e l’autonomia sono i grandi motori e punti di equilibrio del comportamento delle persone con demenza.
In ogni fase della vita ogni persona ha obiettivi, ruoli, cose che deve o vuole fare oppure cose che gli altri si aspettano che faccia. L’autonomia è una condizione necessaria per generare benessere, realizzazione e buona qualità di vita.
Importante inoltre il lavoro di Jaak Panksepp, psicobiologo americano, che ha evidenziato che i meccanismi emozionali di base racchiudono emozioni che costituiscono il substrato evolutivo comune a tutti gli esseri viventi e possiedono una base fisiologica specifica nel sistema nervoso centrale. Nei mammiferi più primitivi come nell’essere umano, esistono sette principali neuro circuiti o sistemi neuronali delle emozioni, ovvero sette sistemi affettivi di base – ricerca, rabbia, paura, desiderio sessuale, cura, tristezza e gioco – aree che definiscono sette bisogni di base che “sentiamo” in maniera irriflessiva e sui quali poi costruiamo la nostra vita mentale consapevole.
Con le persone con demenza, in cui solitamente sono conservati tali neuro circuiti fino a fasi avanzate della malattia, possiamo dunque utilizzare piani di relazione più semplici, facendo riferimento ai sette sistemi affettivi di base.
Il ritorno alla natura per le persone con demenza è una possibilità di ritorno alla vita, avendo la possibilità di muoversi liberamente, riappropriarsi del proprio tempo, del proprio spazio, del proprio corpo.
I giardini possono recare molti benefici, fornendo una stimolazione sensoriale e un ambiente che produce ricordi. Gli spazi aperti non solo offrono l’opportunità di rasserenare gli animi in un ambiente rilassante, ma anche di ricordare le esperienze e le abitudini che hanno portato piacere in passato.
Un “healing garden” è uno spazio esterno (e talvolta un’area verde interna) appositamente progettato per promuovere e migliorare la salute e il benessere delle persone. Negli healing gardens si può avere una esperienza di tipo “passivo” (guardare o stare in un giardino) e/o un coinvolgimento attivo nel e con il giardino (giardinaggio, terapia riabilitativa e altre attività). Quindi, quando si parla di healing garden si intende un giardino progettato per essere healing specificamente per la sua funzione e tenendo in considerazione tutti i potenziali utenti: i pazienti delle strutture di cura e gli ospiti delle strutture socio-assistenziali, i loro familiari e amici, il personale.
Un giardino può essere “healing” perché è connesso a una struttura sanitaria, oppure perché in qualche modo aiuta il processo di guarigione o addirittura perché è parte attiva di un vero e proprio processo di cura. Un healing garden può essere ulteriormente suddiviso in giardini terapeutici, spazi per l’orticoltura, giardini meditativi e di riabilitazione.
Gli healing gardens per le persone con demenza vanno quindi progettati e realizzati tendendo conto delle loro caratteristiche percettive, facendo attenzione alle emozioni che l’ambiente può suscitare o viceversa non stimolare e proponendo un ambiente che suggerisca attività conosciute, variabili quindi a seconda dell’area geografica e della storia personale delle persone accolte.
Nella progettazione dei giardini Alzheimer va creato un ambiente che dia sfogo al wandering, delimitato in modo non coercitivo e mimetizzato, che prevenga situazioni di disagio e paura prevenendo così i disturbi del comportamento, garantisca il controllo a vista, abbia un rapporto diretto e continuo con l’interno, compensi i disturbi di memoria e di orientamento, rispetti la privacy e le capacità decisionali residue, abbia un’atmosfera familiare e normalizzata, faciliti lo svolgimento dei programmi terapeutici e consenta l’esercizio di attività ricreative e a contatto con la natura.
Le persone affette da questa malattia hanno una percezione spazio-temporale compromessa, con difficoltà di orientamento e ridotta se non assente memoria a breve termine, pertanto il principio che regola l’intervento è quello della massima semplificazione.
E’ opportuno prevedere giardini con accesso diretto, che favorisce l’utilizzo autonomo, dal nucleo o centro diurno, con percorsi ad anello, evidenziati da viottoli che si differenziano cromaticamente e la possibilità di visuale ampia, che permetta di controllare tutto lo spazio esterno e favorire il senso di sicurezza.
Attenzione inoltre all’irraggiamento solare e alla dislocazione delle ombre a terra, che possono dare origine a fenomeni dispercettivi, facendo pensare a ostacoli o buche.
Le piante vanno scelte con cura creando zone omogenee di stimolo diversificato, come la zona delle piante officinali, la zona delle piante fiorite, la zona degli arbusti, ponendo molta attenzione a utilizzare piante assolutamente non tossiche vista la facilità delle persone di ingerire il materiale che trovano.
In una zona più lontana dall’area di accesso si può anche predisporre una zona di attività, con piante da frutta e vasche per la realizzazione dell’orto.
Il giardino d’inverno della Residenza Il Melo di Gallarate in provincia di Varese ad esempio prevede uno spazio progettato per l’attività e il wandering, interamente dedicato alle esigenze motorie, esplorative e relazionali. Lo spazio-laboratorio presenta ambientazioni a diversa caratterizzazione logistica e fruitiva (la soffitta dei ricordi, la casa nel bosco, l’aia agricola, la piazza, il mercato, la serra, il gazebo…), luoghi e percorsi accomunati da una totale libertà di fruizione e manipolazione diretta all’interno di una cornice scenografica ricca di riferimenti realistici e arredi “verdi”: in apposite logge vetrate sono stati introdotti nell’ambiente gli animali della pet-activity (conigli ed animali da cortile).
Il giardino dei colori e dei profumi, del Centro integrato Servizi per Anziani (CISA) Mirandola in provincia di Modena prevede un percorso anulare che permette all’ospite di raggiungere luoghi legati alla memoria quali l’orto, il giardino fiorito e il piccolo frutteto, mentre un percorso circolare garantisce uno spazio sicuro di wandering.
Isole cromatiche di foglie o fiori, contrastano l’insorgere del wandering e al contempo secondo i principi della cromoterapia agiscono sul piano visivo e stimolativo per un lungo arco temporale. La vegetazione scelta aumenta la valenza ecologica del giardino e contribuisce all’attrazione di entomofauna e avifauna.
Giardino dei colori e dei profumi – CISA Mirandola – PN Studio Progetto Natura
Nel giardino del centro diurno per malati di Alzheimer di Chiavenna in provincia di Sondrio sono stati piantati frutti di bosco, perché tutti nella zona vanno in montagna a raccoglierli. Inoltre molti utenti hanno passato la maggior parte della loro vita nei campi e quindi sono stati disseminati un po’ ovunque attrezzi agricoli e cartelli che ne riportano i nomi in italiano e in dialetto. Al posto della tradizionale fontana è stato messo un lavatoio, simile a quello che si trova nel centro del paese: le donne lo usano per lavare il tovagliolo con cui mangiano e stenderlo al sole.
Giardino Alzheimer Centro diurno Chiavenna –Architetto Monica Botta
Nella Residenza Socio Assistenziale “Il Trifoglio” di Torino si trova il giardino d’inverno progettato per offrire all’anziano la sensazione di trovarsi in un patio, pur essendo in realtà all’interno di un ambiente chiuso; mentre il giardino sensoriale, attraverso la stimolazione dei sensi, guida e invoglia l’anziano affetto da demenza a percorrere gli spazi e i percorsi che lo compongono con facilità e sicurezza.
Giardino d’inverno – Residenza Socio Assistenziale “Il Trifoglio” Torino -Laboratorio Angiolini
Giardino sensoriale – Residenza Socio Assistenziale “Il Trifoglio” di Torino – Laboratorio Angiolini
E se non è possibile avere un giardino, che ci sia comunque del verde, le piante sui davanzali dei corridoi e nelle stanze, e che le persone che stanno maggiormente a letto possano posare lo sguardo fuori su qualcosa di verde.
L’anziano per vivere ha bisogni di abitare, e un luogo progettato partendo dalle esigenze di chi lo abita, diventa un luogo che necessariamente favorisce anche la relazione, quale atto strutturale della cura. Umanizzare l’assistenza vuol dire saper vivere le relazioni con le persone che chiedono aiuto, e i professionisti della cura se operano in luoghi a misura di persona, ritrovano nello spazio stesso nutrimento per la relazione.
Un luogo dove la disabilità non è sottolineata, ma accompagnata con attenzione all’estetica, è anche un luogo che molte più persone vorrebbero frequentare. L’apertura delle residenze al territorio e alla comunità passa attraverso la piacevolezza di stare in luogo che ricorda più una casa che un ospedale.
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