Il case study riportato di seguito è stato scelto in quanto rappresenta un evidente esempio di presa in carico a 360° di una persona affetta da demenza, oltre che del caregiver/famiglia in un contesto innovativo ed unico sul territorio italiano come quello di Casa Alzheimer Don Tonino Bello di Bari.
È dall’attività continua ed incessante svolta dall’Associazione Alzheimer Bari sul territorio pugliese che si sviluppa il progetto Casa Alzheimer, inaugurata nel dicembre 2013. Tale idea nasce dalla constatazione della necessità di creare una rete socio-assistenziale, che lavori adoperando un approccio multidimensionale, in grado di fornire una presa in carico globale dei bisogni del malato e della sua famiglia. Necessità e prerogativa di tale approccio è il guardare la persona con demenza nella sua totalità.
Alla base di ogni intervento su ciascun ospite vi è un’attenta valutazione funzionale, effettuata dall’equipe multidisciplinare, che rappresenta la conditio sine qua non per l’impostazione di un programma socio riabilitativo personalizzato che rispetti le inclinazioni della persona, le abilità residue e le esigenze della famiglia. Presso Casa Alzheimer è possibile usufruire di specifici interventi rivolti all’intero nucleo familiare, alla persona con declino cognitivo o al singolo caregiver.
Il signor G., il protagonista della presente testimonianza, è un tenente colonnello dell’esercito, ora in pensione dopo un’onorata carriera militare; G. inizia quest’ultima giovanissimo nell’Accademia Militare di Modena, prosegue l’addestramento a Torino, avvia il suo percorso lavorativo da Ufficiale a Siena e dopo numerosi trasferimenti (Cosenza, Barletta, Bari, Campobasso, Trani) termina il suo percorso a Bari fino al 1988, anno del suo pensionamento.
Da quel momento in poi G. ha potuto dedicarsi ai suoi hobby, in primis la pesca subacquea. Tale periodo tuttavia è coinciso con seri problemi di salute derivanti da una maculopatia, causa di ben 3 trapianti di cornea; a questa è seguito un impianto di pacemaker e una grave emorragia in seguito ad un trauma cranico occorso in seguito ad una caduta dagli scogli. Questi eventi hanno determinato inevitabilmente un abbandono degli interessi da parte dello stesso, oltre che della guida, con conseguente compromissione della sua autonomia.
Da un’attenta valutazione delle informazioni anamnestiche si evince che i primi problemi cognitivi si sarebbero manifestati circa 7 anni fa con difficoltà nella pianificazione ed esecuzione di alcune attività legate ai suoi hobby, oltre che con disturbi di memoria e deficit linguistici caratterizzati da numerosi episodi di anomia.
In concomitanza di essi i familiari decidono di avviare un iter diagnostico rivolgendosi ad un medico neurologo che pur non disponendo di indagini strumentali (a causa dell’impossibilità di G. a sottoporsi agli stessi in quanto portatore di pacemaker), formula una diagnosi di sospetta Demenza di Alzheimer. G. avvia l’assunzione della terapia farmacologica prescritta, fin quando nel maggio 2013, in seguito alla manifestazione di alcuni episodi deliranti e all’apatia, la moglie, in accordo con il figlio decidono di rivolgersi all’Associazione Alzheimer.
Al suo ingresso, grazie all’aiuto della consorte viene raccolta dal coordinatore preposto una biografia (i dati anagrafici, storia di famiglia, dall’infanzia all’età adulta, il pensionamento, la storia di un cambiamento, la storia di un incontro), da cui emerge una ben precisa descrizione del Sig. G., della sua famiglia di origine, dei rapporti con il fratello, militare come lui, della sua vita con la moglie e con il figlio, dei suoi viaggi per lavoro e per passione, dei nuovi equilibri in seguito al suo pensionamento, dei suoi hobby e del cambiamento conseguente ai problemi di salute.
G. è una persona amante della convivialità, seppur non prediliga il contatto fisico; la modalità con la quale si approccia agli altri, nonché la più idonea per interagire con lui, è formale ed estremamente sobria e deriva dalla disciplina militare.
G. gradisce parlare dei suoi interessi, informando i suoi interlocutori sulle sue esperienze passate. Ama uscire (con il coniuge e con figure di riferimento), fare passeggiate vicino al mare e richiede spesso oggetti del passato a lui molto cari (berretto, divisa militare e attrezzi per la pesca subacquea). Oggetti di cui non può fare a meno sono gli occhiali, il cappello e una torcia che porta sempre in tasca.
Presenta difficoltà nell’esprimersi, seppur con sforzi e tempo riesca a farsi capire. Egli è consapevole dei propri disturbi di linguaggio, ma non perfettamente della patologia che lo ha portato da noi.
Dal punto di vista comportamentale G. presenta talvolta deliri di gelosia o di latrocinio, allucinazioni, disturbi del sonno e agitazione psicomotoria; i primi derivano dalla paura di perdere il proprio punto di riferimento (la moglie) e si manifestano spesso quando lei è fuori dal suo raggio d’azione. Tali disturbi sono gestibili adottando uno stile comunicativo rassicurante e pacato.
Tenendo conto degli interessi di G., della sua storia di vita, delle problematiche riportate dai suoi congiunti e di quelle emerse attraverso una valutazione dettagliata dei deficit cognitivi si è proceduto all’elaborazione di un percorso individualizzato (Protesi) che contemplasse diverse attività tra cui:
1. Terapia basata sulla reminiscenza: l’attività nasce dalla possibilità/necessità di elicitare esperienze e ricordi, basandosi sul principio dalla naturale tendenza alla rievocazione propria delle persone anziane. Temi principali di questo “viaggio nel tempo” riguardano il lavoro (ad es., visita alla caserma in cui operava, visione foto dei luoghi frequentati durante il lavoro e dell’equipaggiamento militare), i suoi hobby (ad es. visita museo in cui è custodito un reperto archeologico da lui ritrovato durante un’immersione subacquea), la sua vita familiare (ad es. album con foto di famiglia e di viaggi effettuati in passato). Obiettivo primario è ridurre un disturbo comportamentale riportato dal coniuge, quale l’apatia; contemporaneamente ciò consente a G. di ri-sperimentarsi capace di comunicare efficacemente nonostante il disturbo afasico, con conseguente miglioramento del tono del suo umore;
2. Stimolazione cognitiva individuale/di gruppo: entrambe strutturate in due incontri settimanali ciascuna della durata di 75 minuti. L’attività in gruppo mediamente è organizzata con 3-4 ospiti con simili livelli di compromissione cognitiva. Il primo quarto d’ora di ogni incontro è considerato uno “spazio di accoglienza” che gli ospiti, insieme all’operatore, utilizzano per darsi il benvenuto, ambientarsi e familiarizzare in un clima informale e sereno; ciò è propedeutico all’inizio dell’attività vera e propria, basata sul coinvolgimento in compiti specifici al fine di stimolare diverse funzioni cognitive (ad es. memoria, attenzione, linguaggio).
3. Ortoterapia: l’attività è strutturata in due spazi, uno dedicato ad ortaggi e frutti (scelti in base alle particolarità cromatiche e gustative) e l’altro dedicato all’olfatto, con l’uso di piante aromatiche e spezie. L’orto rappresenta sia un input sensoriale ed emotivo funzionale all’applicazione della reminiscenza, che una terapia occupazione utile alla stimolazione motoria fine e delle funzioni cognitive superiori (esempio: stimare il terreno necessario per travasare una pianta, programmare la sequenza temporale delle azioni). Il Sig. G. partecipa inoltre in modo attivo alla preparazione del materiale necessario all’avvio del laboratorio (ad es. recupero e decorazione di contenitori e strumenti necessari per piantare sementi)
4. Laboratori manuali: l’attività è finalizzata allo svolgimento di attività a lui gradite (ad es. giocare a carte, giochi di società, costruzione di semplici oggetti) in cui sono inseriti esercizi di stimolazione cognitiva (esercizi di linguaggio, memory training, aprassie, attenzione)
5. Fisioterapia: Puntando su un approccio il più completo possibile, G. è coinvolto in esercizi aerobici, di rinforzo muscolare, di equilibrio, al fine di rallentare il declino fisico e cognitivo. Per rendere l’attività più efficace, ogni seduta prevede un’iniziale e breve descrizione degli esercizi con successiva dimostrazione pratica. A tal fine si utilizzano suoni e musica, come stimoli sensoriali idonei ad incoraggiare un movimento fluido e ad innescare la risposta ad un’istruzione;
6. Supporto al caregiver: l’obiettivo è quello di fornire, attraverso il gruppo dei familiari degli ospiti, strumenti utili per consentire un’adeguata conoscenza del quadro della malattia, oltre che per valorizzare le risorse e le abilità del Sig. G. e per apprendere funzionali strategie di gestione e promozione del benessere, quali protesi fondamentali del percorso di assistenza. Inizialmente si è lavorato sulle resistenze e difficoltà di accettazione della patologia del caregiver attraverso un percorso di ascolto e accoglienza, oltre che mediante informazioni specifiche sulle diverse forme di decadimento cognitivo e relative modalità di gestione. Parte fondamentale del percorso è facilitare il riconoscimento, identificazione e potenziamento delle emozioni positive del caregiver, in modo da poter allenare, identificare e valorizzare piccoli ma essenziali momenti di positività giornalieri. Le ricadute in termini di qualità di assistenza, oltre che di vita sono innegabili. Il coniuge di G. riveste un ruolo attivo all’interno del gruppo, in termini di enorme accoglienza nei confronti dei nuovi familiari che per le prime volte si affacciano in questa realtà, oltre che per i preziosi suggerimenti pratici che dispensa loro. Ciò le è valso il premio quale migliore caregiver nell’anno appena trascorso.
Alla luce di quanto emerso l’approccio Gentlecare utilizzato presso “Casa Alzheimer Don Tonino Bello”, unico nel suo genere, rappresenta un grosso passo avanti nella presa in carico di persone affette da deterioramento cognitivo e dei loro cari che quotidianamente si trovano inermi nell’affrontare una patologia tanto subdola ed ingravescente.